Lo ricordo, Giulio, sempre un poco ansioso. Come se sentisse di continuo che qualcosa gli sfuggiva, nonostante tutto quello che possedeva, che si era costruito: pittura, famiglia, amicizie. Qualcosa che rimaneva oltre la superficie dei quadri, oltre l’espressione, anche la più sincera, dell’amico, dell’amica. Era inutile rassicurarlo che c’era affetto, stima, contatto umano. In fondo non ci credeva, o era come se preferisse non crederci. Lui la sua ansia la coltivava. Ci costruì intorno una sua strategia di difese. Restò legato (come una vela è legata al vento) alla sua cara Terza e in questo suo attaccamento osò sfidare tutto un costume, quando girare per il paese sotto braccio alla propria moglie era non solo ridicolo ma addirittura eversivo. Non c’era solo da sfidare un maschilismo robusto; bisognava fare i conti anche con il separatismo socio-culturale delle donne, retaggio di antiche divisioni di lavoro, che si esprimeva nelle forme più svariate.
Penso a mia nonna Lucia, maestra sarta, a quando da vecchia cominciò a uscire qualche volta la sera con mio nonno Alberico per andare a bere un bicchiere di vino, ma proprio uno all’osteria. Faceva partire il marito con un piccolo anticipo, gli camminava poi dietro a una decina di passi senza guardarlo, senza mostrare alcun legame con lui, come per dire che lei andava per scelta, non per dovere di coppia.
Giulio Turci - Designed by 03Studio | Tutti i contenuti presenti nel sito web sono coperti da copyright