Ritratto di Giulio un pò sghembo, che parte da un vocabolo inventato, nato in sogno, una parola improbabile che io ho usato da qualche parte e che lui avrebbe preso in considerazione, curioso com’era di suoni e giochetti.
Si sa che un nome può arrivare dal nulla, prende posto nella mente e prima o poi bisogna usarlo. Il problema é su chi collaudarlo.
Mi sono accorto poco tempo fa che Giulio sarebbe stato l’amico ideale al quale chiedere il favore di pronunciare per me alcune parole che mi assillavano, suoni davvero improbabili e inconsistenti.
La parola in questione é “sgurlì”. Potrebbe darsi che esista in qualche dialetto romagnolo, ma io non voglio saperlo, adesso.
Lo dico a Giulio e lui mi ascolta un poco perplesso, me la fa ripetere. Poi si mette a pronunciarla in tonalità musicali diverse: si bemolle, fa maggiore, do…Infine, gingillandovisi intorno come sopra le corde del suo violoncello, osserva cautamente che “sgurlì” é termine per clarino, meno adatto per uno strumento a corde. E per dimostrarmi il suo interesse mi fa un elenco di parole consonanti, pronuncia vocaboli di radice uguale: sgudébal, sgulmanèd, sguéll, sgumitlè… lo gli dico: “sgurlì” te lo traduco prima di tutto con “tenerezza”; oppure, sentimento affetto, perfino dignità Lui subito chiede licenza per un pizzico di ironia: “sgurlì” significa cagnolino spaventato da un cane grosso, ragazza biricchina, il gatto di Federico nell’orto. Poi, con impercettibile contrazione della nuca magra e sottile, e con un segno della mano, cita due o tre personaggi del paese e uno di Rimini: “sgurlì”, in qualche modo, tutti per lui. Si vede benissimo che gli piace il suono della parola, che sta facendola sua e che, d’ora in poi, si metterà ad usarla anche lui. Nella sua ironia improbabile la parola “sgurlì” si carica di storia inventata, diventa usuale: può partire. Lui l’ha affidata ormai alle acque chete dei suoi umori giocherelloni come una barchetta di carta. È anche accettabile l’idea che non te la restituirà interamente. La userà, come per chiederti scusa, quando ti mostrerà il suo prossimo quadro, recitandola con timidezza, pudore e dignità: “sgurlì”, appunto.
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