Non è certo questa la sede per intrattenerci a parlare delle strettissime liaisons che almeno fino al Cinquecento unirono terre romagnole o malatestiane con l ' Oriente bizantino e paleologo, e che tanto significarono per la formazione di una assai particolare anima ariminensis, già imbevuta – come anche dissi in altre occasioni - di iridate nostalgie per una perduta, mitica, irresuscitabile, sognata età dell'oro, archetipo fissato in Romagna dai secreta delle sapienze d'Oriente coltivati in Ravenna, miscelati poi col dualismo costitutivo l'indole bizantina, che ben penetrò nel temperamento riminese.
Tuttavia, essendo terreno fin qui insondato salvo rarissimi casi, qualche accenno dovremo pur farlo, anche per non lasciare in un limbo che potrebbe sembrar pretestuoso la nostra idea di accompagnare la mostra con un audiovisivo pensato per la sede di Ravenna, in cui si vedono le opere di Giulio Turci "conversare" con immagini foto grafiche di Istanbul, per la maggior parte scattate da chi scrive nel corso di un viaggio di studio nella metropoli turca. Né si stupisca il lettore che, per trattar di Turci che è artista di pieno Novecento, si debba parlar anche di cose di pieno Quattrocento, poiché la ricerca di fonti ed etimi ha condotto a interrogarci sull'origine di un particolare tipo di percezione che, smarrita in Romagna, non tanto stranamente ritroviamo a Istanbul. E se si avrà la pazienza di scrutare ancora qualche rigo, forse l'idea non parrà del tutto "pellegrina e straniera".
Dovremo così iniziare il racconto da un fatto di straordinaria importanza per Rimini e per la Romagna, va le a dire il matrimonio, celebrato per procura a Pesaro il 29 maggio 1419, tra Cleofe Malatesta, figlia di Malatesta "dei Sonetti", e Teodoro II Paleologo (1407-1443), despota di Morea, figlio (Manuele II) e fratello (Giovanni VIII) di imperatori di Bisanzio. Di Cleofe, che con Sigismondo divideva la discendenza da Pandolfo I (trisavolo della prima, bisnonno del secondo), s'ignorano data e luogo di nascita; si sa tuttavia che morì nel 1433 a Mistra, sede del despotato di Morea, dove risiedette quale "basilissa" assai amata e poi compianta dai sudditi poiché accolse costumi greci nonostante restasse cattolica. Dunque la principessa Malatesta di Morea divenne nuora e cognata degli imperatori d' Oriente, assicurando i maggiori e più vasti benefici strategici e politici a tutta la famiglia, consanguinei di Rimini inclusi, che così poteva vantare un imparentamento di rilievo assoluto sulla ribalta internazionale, peraltro in un momento che vedeva impegnati tanto i fratelli quanto le sorelle di Cleofe in matrimoni con eccellenti dinastie italiane.
Tra essi ricordiamo almeno quello del fratello Carlo, che nel 1416 sposò Vittoria Colonna, nipote di Oddone che l'anno seguente sarebbe stato eletto papa a Costanza col nome di Martino V. Vittoria era infatti figlia di Lorenzo, fratello di Oddone con i titoli di conte di Albe e conte di Amalfi: e sia detto per inciso che, per uno di quei singolari intrecci che la storia talvolta si diverte a comporre, Donna Marina Colonna dei principi di Paliano, attuale proprietaria della Rocca di Santarcangelo dove ora è allestita una pat1e di questa mostra su Turci, discende direttamente dalla linea di Lorenzo. Dunque Vittoria Colonna divenne cognata di Cleofe: e poiché intanto a Mistra sia il celebre Bessarione sia Giorgio Gemisto Pletone erano totalmente devoti alla principessa Malatesta Paleologo, è da credere che senza di lei, vero anello di congiunzione tra l'Occidente malatestiano e colonnese con l'Oriente bizantino, tanto il rapporto del Bessarione con la curia romana e l'Italia, quanto l'attrazione di Sigismondo verso Bisanzio sarebbero stati più blandi o non si sarebbero verificati affatto . Se a Roma il Bessarione dimorò infatti lungamente a Palazzo Colonna, impiantandovi l'eccezionale biblioteca poi da lui stesso donata a Venezia, nonché predisponendo la propria sepoltura nella basilica colonnese dei Santi Apostoli, d'altra parte a Rimini forse non starebbero ora le ossa di Gemisto, reliquie di eccezionale portata simbolica prese a Mistra da Sigismondo e inumate nel Tempio a viatico di un 'impresa di valore universale. Dal matrimonio di Cleofe con Teodoro II Paleologo nacque Elena, che nel 1442 sposò Giovanni II Lusignano re di Cipro, famiglia che fu anche sui troni di Gerusalemme, di Antiochia e d'Armenia.
Va infine detto che la dinastia dei Paleologo, perduto nel frattempo l'impero bizantino comprese Mistra e la Morea, era chiamata dalla storia ad assolvere un compito di enorme destino. Infatti Sofia (Zoja-Zoe) Paleologo, che in Cleofe Malatesta aveva la zia, poiché figlia di Tomaso, ultimo despota peloponnesiaco e fratello di Teodoro II, fuggita in Italia fu presa in tutela dal cardinale Bessarione, che nel 1472 (lo stesso anno in cui il porporato morirà, peraltro a Ravenna) ne dispose il matrimonio con Ivan III, granduca di Moscovia e di tutta la Russia, nozze che di fatto sancirono la successione storica e spirituale dei Cesari bizantini sul trono di Mosca, dove, a due anni dal connubio di Sofia, convenne una schiera di artisti e di operai italiani. Così, estinta già nel 1457 la linea dei Malatesta di Pesaro, la dinastia malatestiana di Rimini si ritrovò a poter vantare rapporti di parentela anche con la stirpe granducale russa, mentre, attraverso gli stessi Paleologi, si congiungeva e sanguine non solo con la storia imperiale di Bisanzio, ma idealmente anche con le terre di Cipro, Gerusalemme, Antiochia e Armenia.
D'altra parte ricordiamo appena, a conclusione di questa veloce, ma già troppo lunga panoramica, comunque tutta svolta "al femminile", che nel Cinquecento era contessa di Verucchio e Scorticata (ossia Torriana) Ippolita Comnena, che concentrava in sé le discendenze delle due supreme dinastie bizantine: era infatti figlia di Costantino Comneno e di Francesca Paleologo, che a sua volta era figlia di Teodoro II Paleologo marchese di Monferrato, il cui avo era Androni co II imperatore costantinopolitano, da cui derivò anche il consorte di Cleofe Malatesta. Costantino Comneno, figlio di Giorgio principe di Macedonia e duca d' Acaia, risiedeva peraltro nella Rocca di Montefiore (da lui acquistata insieme con il castello di Mondaino), e qui morì nel 1530, mentre la figlia Ippolita, nella Rocca di Verucchio !asciatele in eredità dal primo marito Zenobio de ' Medici, sposava nel 1532 Leonello Pio di Carpi. Nelle terre di Romagna, dunque, l'Oriente abitò in modo più o meno diretto a partire dal 402 d.C. , con l'orientalissima corte di Onorio che a Ravenna aveva trasferito la capitale occidentale dell'impero, fino al 1566, anno di morte di Ippolita Comnena, depositando un'eredità di millecentosessantaquattro anni.
Allora: Istanbul 200 l. Per ritrovare l 'eco di un Oriente vicino-lontano che alimentò per secoli l'arte romagnola di costa, conferendole la coesione di due sguardi , uno solare, luminescente, l'altro brumoso, velato, convivenza di opposti brulicante nella remota indole bizantina; per rintracciare quell'anagrafe spirituale che intrise certa Romagna fin nei meandri della propria lingua e della propria fonetica, dove tuttora persiste l'antichissima dittongazione av in luogo di au, che nel X secolo, ormai perduta nel latino longobardo, era ancora diffusa nella koiné costantinopolitana, come tramanda Liutprando da Cremona nell'Antapodosis (La restituzione, cui si ispira il titolo dell'audiovisivo); ma senza trascurare nemmeno l'umile piada, regionale vessillo gastronomico, che discende da un grecismo diffuso dall'esarcato di Ravenna, metonimia derivante da plàthanon, piatto rotondo per impastare il pane o la pasta, che sopravvive anche nel turco moderno, che chiama pide una simile schiacciata di pane azzimo; per assolvere a tutto questo, dobbiamo dunque imbarcarci su una nave, solcare l'Adriatico, passare l'Egeo e approdare a Istanbul.
Soglia tra Oriente e Occidente, mistione di Europa e Asia distesa tra i mari, la metropoli è un mirifico luogo dell'anima. Costantinopoli greca si deposita nel cuore della città turca, le cupole bizantine moltiplicano la loro dolce potenza in quelle islamiche. Le musiche molli, le strade nobili, i giardini fioriti, le vie strette e ripide, gli intonaci sdruciti, i palazzi fastosi, le minuscole case, luci smaglianti e grigie penombre, statue classiche e azzurre moschee, porfidi antichi e chioschi ottomani, e venti milioni di abitanti, e religioni intrecciate, e iscrizioni greche in mezzo a scritte arabe, trattengono l'iride di quel fantastico crogiolo dell'antico Oriente greco, che ne fanno una città solenne e consunta, vivace e melencolica, funebre e festosa, desolata e sfolgorante. Qui, dentro uno splendore spesso cupo, dove anche le crepe su squallide facciate in quartieri bassissimi esprimono un ambiguo poetico magnetismo, come benissimo ci fa conoscere il magnifico Hamam di Ferzan Ozpetek, abbiamo infine portato le immagini di Giulio Turci: che sembrano "tornate a casa", cariche dei depositi di secolari viaggi interiori alla ricerca di un 'anima occidentale-orientale già appartenuta alla Romagna e poi smarrita, ma forse "restituita" ora alle proprie originarie emozioni, ricondotta eis ten polin, nella città, come dicevano gli antichi viaggiatori per i quali Costantinopoli rappresentava,
senza che fosse necessario dirne il nome, il centro emblematico dove tutte le anime d 'Oriente e d'Occidente potevano confluire, attratte dalla promessa di riconnettersi a vicenda, di convivere, di intrecciarsi, per poi tornare a irradiarsi ovunque: complesso, contraddittorio, travolgente punto di convergenza e di fuga; e Fuga da Bisanzio titolava Iosif Brodskij il suo celebre scritto del 1986. "Et tout cela se passe à Istanbul, ville obscure, complexe et si riche en couleurs", ricorda poi Canan Gerede, autrice, nel 1991 , di Robert 'in Filmi. Proprio in un luogo dalle mille anagrafi, dai molteplici volti stratificati nel corso di un tempo non più calcolabile; in una città dove l' identità dei contrari pare attuarsi nell'immobilità rituale dei mosaici, messi a dimora sulle soglie invece mutevoli di quattro mari che scambiano le proprie acque; dunque nella turca-greca-armena-islamica-cristiana-europea-asiatica Istanbul, dove l'Occidente e l'Oriente coesistono in un corpo solo, è forse possibile rintracciare qualche scorcio delle interiori, increspatissime biografie di Romagna, sperdute in epoche immemorabili ma ricongiunte nei lasciti di artisti vissuti dal Trecento in qua: una lunga traversata che salpa da Giovanni da Rimini e approda a Giulio Turci, che, in versi moderni, ricompone i frammenti dispersi di antiche struggenti poesie.
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