Quello che ho cercato di dimostrare, attraverso un attento lavoro di ricerca ed analisi, è una sintesi critica di quello che è stato tutto il lavoro d’artista, imprescindibile dall’uomo Giulio Turci.
La selezione delle immagini qui proposta è solamente una parte del suo percorso durato una se pur breve vita.
Avendo avuto la grande possibilità di accedere a materiali ancora in alcuni casi inesplorati, mi è stato possibile trovare un foglio di pensieri scritti di suo pugno, che mi hanno fortemente colpito.
Uno di questi così dice: “…c’è chi non riesce a ricordare ciò che ha imparato e, ciò nonostante, può essere più colto dell’intellettuale che ostenta tutto il suo sapere.”
Una delle domande che spesso mi sono rivolta durante il mio lavoro è stata per quale motivo Giulio Turci non occupasse il giusto spazio nel panorama artistico italiano di oggi, visto l’apporto dato all’arte e alla cultura del suo tempo, che gli era riconosciuto in vita.
Le parole di G. Mazzarocchi sembrano ancora oggi dare una risposta:
«Per chi sente acutamente il disagio in cui si dibatte non solo e non tanto l’arte moderna, ma l’estetica figurativa roboante di parole ma aliena di ogni vera umanità, pensare a Giulio Turci operante in Santarcangelo antico, isola medievale ai lati della via Emilia risonante di rumori e vedere le sue opere così onestamente fedeli a sè stesse, è quanto mai riposante e specialmente consolante. Così ritroviamo sempre nei suoi quadri la storia ideale dei suoi pensieri, delle sue emozioni e dei suoi ricordi, e possiamo rispecchiare la nostra nella sua umanità…Ed ecco allora il suo riserbo, i suoi timori, le sue esitazioni d’innanzi ai problemi dell’arte, la sfiducia che ogni tanto lo coglie se paragona il proprio mondo, che gli par si piccolo, alle presunzioni di ogni genere trasudanti da tante manifestazioni d’arte individuali e perfino, contraddizione in termine, collettive. Alle pitture di gruppo di cui la Biennale, e non solo la Biennale, si gloria, che cosa oppone il pittore isolato, che cosa oppone Turci? E’ coraggio o umiltà, osare ancora mostrare, narrando col pennello, il proprio mondo di ricordi e di sentimenti che la nostalgia colora di mito, quando esperimenti meccanici, materici, elettrici, cibernetici, musicali perfino di individui ponderosamente raziocinanti e scarsamente dipingenti occupano le pareti delle mostre e suscitano gli ammirati consensi di tanti critici? Io direi che è coraggio, è doveroso coraggio; è amore non solo per la propria opera, ma per la pittura in genere che è nata sempre, e non potrà che nascere ancora da un insopprimibile bisogno dello spirito creativo dell’uomo di dar un volto ai propri fantasmi».
Concludo infine citando le parole che, a mio parere, meglio concludono la mia riflessione sul pittore Giulio Turci:
«…Turci ha svolto egregiamente il suo lavoro. E quale altro artista contemporaneo ha riportato, con altrettanta coerenza, la storia, amara della sua gente e della sua terra? Neppure possiamo rimproverare a Turci di aver raccontato la storia attraverso la sua storia; di essere stato cioè poeta oltre che narratore. Chi vorrà, io chiedo, uccidere il cantastorie perché ha cantato troppo bene?»
Infine a chiusa del mio lavoro vorrei citare un’ultima opera dal titolo “Gli uomini dell’orologio e il pittore”, quasi un testamento dell’artista: un quadro nel quadro, un volo di palloni per un ultimo lieve saluto.
Camilla Donati, Giulio Turci – Percorsi critici attraverso la poetica artistica, Tesi di Laurea e Metodologia della Critica delle Arti, Alma Mater Studiorum – Università di Bologna, Facoltà di Lettere e Filosofia – Corso di Laurea D.A.M.S. – Arte Anno Accademico 2011-2012
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