Tonino Guerra

Camminando verso le lucertole
Spesso mi capita di pensare a Giulio anche perchè ogni tanto mi viene da riflettere sulla morte. Sono appuntamenti serali che mi sprofondano nella malinconia. Più passa il tempo e più si fanno chiari certi momenti dell’infanzia e della giovinezza. Così rivedo Giulio in una di quelle palazzine dietro a Via Verdi e non lontano dalla sala Eden. Lo rivedo, magro, in un giardinetto con alcune aiuole rotonde. C’era qualcosa di ordinato in quel piccolo spazio che mi affascinava perchè era così diverso dal retro della mia casa coi capannoni di carbone e i tre grandi albicocchi che si alzavano nel disordine di cataste di legna, botti, sacchi, damigiane spagliate, galline e cani che le inseguivano agli ordini di mia madre. A quel tempo andavamo assieme a caccia di lucertole “nella strada morta” fangosa e abbandonata che portava alla stazione passando in mezzo ai campi. La fionda di Giulio, con elastici di gomma scura era la più proporzionata e perfetta. Spesso ci vedevamo anche al cinema Eden condotto da suo padre e mangiavamo assieme semi di zucca e lupini. Una sera di neve ci fu un raduno di vecchi nella sala perchè fuori faceva freddo e la gente voleva scaldarsi con le immagini di un film sul cimitero degli elefanti. Fu l’unica volta in tutta la sua vita che anche mio padre entrò in un cinema.

Volo di palloni

Volo di palloni


Poi diventammo più grandi e Giulio andò ad abitare nella casa del Borgo che non abbandonò più. Così ci vedemmo più di rado. A quel tempo già dava una mano a suo padre per calmare i ragazzini che sedevano nelle prime panche del cinema Eden. Spesso ne trascinava fuori qualcuno tirandolo per le orecchie. E cominciò la nostra passione per la pittura. Era l’unico di noi ad usare le spatole. Oramai erano degli incontri che riguardavano il nostro lavoro di pittori. Intanto gli anni portavano la guerra e io non posso dimenticare alcune giornate da sfollati passate in collina con Giulio che seguiva i fumi lontani delle bombe che cadevano sulle cittadine di mare. Aveva un ginocchio gonfio che ungeva continuamente con della tintura di iodio.
Dopo la guerra mi incuriosiva il fatto che si riempisse gli orecchi di bambagia e così mi sono servito di questo suo fastidio per nominarlo in una poesia. Poi io sono partito per Roma e gli incontri si sono diradati. Mi dicevano di lui che camminava da solo tutte le notti passando e ripassando sulle strade della vecchia contrada.
Queste sono le tracce della sua vita terrena restate nella memoria di un amico.
Ma c’è dell’altro da dire. Spesso mi tengono compagnia i suoi quadri per i quali non ho mai scritto una parola perchè mi sfuggiva l’angolazione giusta per dire qualcosa di sincero. Probabilmente sono stato troppo avaro. Adesso le sue orchestre di donne e di uomini così ingigantite dalla sua fantasia mi sembra che abbiano la grazia dei sogni.